Un successo per l’VIII edizione del Festival per la Legalità, la kermesse annuale organizzata da Città Civile che, da otto anni a questa parte, offre alla città numerosi approfondimenti e spunti di riflessione su questioni di stringente attualità. “Legalità, testimonianza e disobbedienza civile. Semi di legalità per costruire la città terrestre” è il titolo scelto per questa ottava edizione che si è svolto in memoria di Rosario Livatino, il giudice ragazzino assassinato dalla Stidda agrigentina a soli 38 anni.
Il Festival si è aperto venerdì 3 maggio, con la serata “In ricordo di Rosario Livatino” durante la quale sono intervenuti Don Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione, e il magistrato Roberto Rossi, procuratore aggiunto a Bari.
E’ stata celebrata la vita di Rosario Livatino, non di certo la sua tragica scomparsa. La sua morte, anzi, è stata consacrata come quella di un «martire civile», come spiega Don Giuseppe Livatino, lontano parente del magistrato, nonché postulatore della causa di beatificazione. «Il termine martire significa testimone. Rosario con la sua vita ha testimoniato che è possibile un diverso modo di vivere, opponendosi alle scelleratezze mafiose in un territorio difficile qual è quello siciliano». Una breve esistenza quella di Rosario, brutalmente zittito alla soglia dei suoi 38 anni, il 21 settembre 1990, con un colpo di pistola sparato tra il naso e la bocca, inferto proprio come segno di tacere.
L’esigenza di renderlo “Santo” parte proprio dalla necessità di elevare spiritualmente le azioni compiute in vita e di consacrarle definitivamente. Rosario coniugava la coscienza civica con la profonda fede religiosa. Ogni mattina, prima di recarsi in Tribunale, era solito rivolgere parole a Dio nella vicina chiesa di San Giuseppe; in maniera compassionevole, pregava per i pregiudicati uccisi, perché erano fratelli cristiani incontrati nella sventura.
Mercoledì 8 maggio, invece, è stata la volta di “Noi non c’eravamo”, incontro in cui gli studenti del Polo Liceale “Fiore-Sylos” hanno intervistati Fiammetta Borsellino. A coordinare l’evento è stato Piero Ricci, presidente Ordine Giornalisti Puglia, insieme a Pasquale Vitagliano, presidente Ass. Festival per la Legalità.
È stata un fiume in piena Fiammetta Borsellino, la protagonista indiscussa della seconda serata del Festival per la Legalità, che ha catalizzato su di sé, per circa due ore, la totale attenzione di una platea emotivamente coinvolta nel racconto di tutto ciò che è emerso a seguito della tragica strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992, in cui perse la vita il magistrato Paolo Borsellino. Un uditorio eterogeneo e qualificato, proveniente addirittura da Foggia e Canosa, ha occupato tutti i posti a sedere e in piedi del Chiostro delle Clarisse per ascoltare dal vivo le parole toccanti dell’ospite d’onore.
Donna forte e tenace, Fiammetta ha cominciato a esporsi e girare in tutta Italia soltanto di recente, a partire dal 2017, quando è stata pronunciata la dura sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta che ha riconosciuto la strage di via D’Amelio come uno dei più grandi «depistaggi della storia». Tante anomalie nei quattro processi che si sono tenuti in più di vent’anni, incentrati tutti sulla figura del falso pentito Vincenzo Scarantino, fino a quando non è intervenuto Gaspare Spatuzza, che ha confessato di essere stato uno degli esecutori materiali del delitto. Per non parlare poi delle numerose stranezze che sono circolate per moltissimo tempo nell’ambiente di lavoro tra magistrati, avvocati e forze dell’ordine, volte a insabbiare la vicenda.
L’inviato delle Iene Ismaele La Vardera è stato il protagonista venerdì 17 maggio con la presentazione del documentario “Italian Politic For Dummies”. Ad affiancarlo Daniela Zappatore, consigliere comunale di Città Civile.
Soltanto venticinque anni e avere il coraggio di schierarsi contro l’omertà politica di fronte alla telecamere nazionali, mosso dallo spirito di rendere la stessa politica una «scatola trasparente». È questa l’idea che guida le azioni di Ismaele La Vardera, il giornalista de Le Iene, ospite del terzo appuntamento del Festival per la Legalità, andato in scena venerdì scorso, 17 maggio, nel Chiostro delle Clarisse.
«Prima di parlare di mafia, sconfiggiamo il mafioso che è in noi» è il fil rouge che lo impegna da anni a dare l’esempio di cittadino attento alle pratiche del vivere civile. «Buttare le carte per terra, parcheggiare in doppia fila, chiedere favori ai politici» sono gesti che per molte persone si rivelano quotidiani, alimentando così un ciclo vizioso di scorrettezza e mala fede.
Dal «ciuffo rosso», curioso, simpatico e mediatico, La Vardera si è candidato a sindaco di Palermo nel 2017 a ventitre anni, risultando il primo candidato sindaco più giovane del capoluogo siciliano e ottenendo un risultato pari al 3% dei voti. Ismaele era partito con l’idea di fare il sindaco, sostenuto dalla Meloni e da Salvini. Ma durante il percorso elettorale, ha maturato la consapevolezza di dover registrare di nascosto tutte le situazioni scomode che si è trovato a fronteggiare. Solo a urne chiuse, ha deciso di rivelare a tutti di aver in mente di produrre un documentario.
“Il Sindaco. Italian Politics for Dummies” è il «trionfo dell’ovvietà in cui è presente tutto che quello che sapete già». Corteggiato da tanti politici nel corso delle elezioni, La Vardera è entrato in contatto con moltissimi personaggi discutibili, tra cui boss mafiosi che detengono ancora oggi le fila del potere. «Qual è il confine tra l’accordo politico e il voto di scambio politico-mafioso?» è il quesito che percorre il docufilm.
L’ultimo appuntamento del Festival ha visto la presentazione del libro “Il ragazzo nel pozzo” di Michela Magnifico. Tra i relatori vi erano anche Elvira Zaccagnino, Edizioni LaMeridiana e Pino Ciociola, inviato Speciale di Avvenire.
Un focus sulla mafia pugliese, in particolar modo quella della Capitanata, è stato al centro dell’ultimo incontro del Festival per la Legalità di questo maggio 2019, conclusosi giovedì sera nella cornice del Chiostro delle Clarisse, al cospetto di un oratorio piuttosto qualificato, composto anche da diversi docenti degli istituti scolastici di paesi limitrofi. «Negli anni Novanta non avevamo la giusta contezza che la mafia di casa nostra si stesse accreditando a livelli sempre maggiori», spiega Elvira Zaccagnino, editrice de La Meridiana.
La mafia garganica, chiamata «società» in gergo, è, purtroppo, da annoverarsi tra le organizzazioni criminali più cruente che ci possano essere, fondate su una compagine clanica in cui è forte il legame del sangue. Feroce, si basa sugli sciagurati capisaldi della forza, della vendetta e della punizione, puntando a intessere un capillare controllo del territorio e lasciando scie di sangue e di lupare bianche. Deve la sua solidità anche a un’ostile morfologia del territorio che le consente di insinuarsi senza destare sospetti: si pensi, ad esempio, che in alcune zone non c’è nemmeno segnale telefonico.
Quali sono le peculiarità della mafia pugliese? «L’omertà e l’assenza di una struttura verticistica, dovuta quest’ultima ad alleanze fra clan non solo a livello nazionale», puntualizza Pino Ciociola, inviato di Avvenire, «Le mafie non sono un antistato, ma sono piuttosto uno Stato parallelo che prolifica laddove le istituzioni sono completamente assenti».
Un territorio difficile da abitare quello foggiano. Lo ha testimoniato Michela Magnifico, giornalista ivi residente che si occupa di cronaca nera e giudiziaria. Attraverso il libro “Il ragazzo nel pozzo”, di cui è autrice insieme a Gianmatteo Pepe, ha voluto mantenere viva la memoria di tutti i più gravi delitti di cui è stata macchiata la Capitanata, perché è come se la mafia foggiana «non avesse lo stesso appeal della camorra», tale da catturare l’attenzione dei media nazionali.
GALLERIA FESTIVAL 2019